Film
CAOS TOTALE. LA MARCIA PERDUTA DI GAZA
Il 26 dicembre 2009, una delegazione di circa 1400 internazionalisti, di cui 140 italiani, provenienti da 42 paesi, si reca al Cairo per raggiungere successivamente, attraverso il Sinai, il valico egiziano-palestinese di Rafah ed entrare infine nella Striscia di Gaza dove, il 31 dicembre avrebbe dovuto svolgersi la Gaza Freedom March alla presenza di almeno 50.000 palestinesi.
Questo film è la cronaca esatta dei giorni confusi e appassionati, trascorsi al Cairo, dopo il rifiuto da parte del governo egiziano, di concedere alle delegazioni internazionali il diritto di recarsi al confine con la Striscia, di partecipare alla Marcia e quindi, di lasciare la stessa capitale egiziana. Ci eravamo proposti di girare un film nella Striscia di Gaza, sui palestinesi e sulla marcia del 31 dicembre e invece abbiamo raccontato un’altra storia che è la nostra storia e, più metaforicamente, la storia di un’altra speranza, di un’utopia che si infrange contro la violenza di un governo autoritario, amico di Israele.
Abbiamo girato per sette giorni, seguendo lo svolgersi degli eventi, che in fase di montaggio, sono diventati un racconto, avventura collettiva. Nel “caos totale del Cairo” gli slogan che evocano il popolo palestinese” , sono come una preghiera laica che si alza in tutta la sua forza e al tempo stesso della propria impotenza.
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CHI HA RUBATO LA GIOCONDA? VITA ALLEGRA DI GRAZIANO BALLINARI MUTANDOLOGO
Chi ha rubato la Gioconda? Se quella esposta al Louvre è un falso come sostiene Graziano Ballinari da Garabiolo, il protagonista di questo film, allora dove si trova quella autentica?
L’ultima parola spetta appunto a Ballinari, la cui storia parte da un tempo ormai lontano, da una suggestiva valle delle Prealpi, approdando alla ribalta televisiva nazionale come unico cessologo e mutandologo italiano, oltre, naturalmente, come gran cultore della cultura contadina e dei suoi oggetti. Il film racconta la filosofia di Graziano Ballinari, la sua arte in cucina, il rapporto con la pietà popolare, con gli oggetti più impensati, dai cavatappi erotici e dalle mutande storiche da donna alle trappole per topi, e infine l’odio per i politici e per l’attuale governo, e il sogno di un ritorno alla semplicità e alla saggezza del mondo contadino.
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NELLA KASBAH. SUITE D’ALGERI LA CITTA’ BIANCA
Ad Algeri, la Kasbah, luogo oscuro e leggendario, ancora oggi conserva il proprio mito. Non ho mai smesso di vederla attraverso gli occhi di Pepè le Mokò e di Alì, ovvero, il bandito che sogna la propria liberazione dalla Kasbah stessa, che lo protegge, ma di cui si sente prigioniero, e il ribelle che sogna invece, un giorno, la liberazione del popolo algerino. Entrambi perdenti, essi sono eroi di un immaginario urbano che diventa reale attraverso il corpo della città, della sua antica anima, la kasbah, sedimento di memorie collettive e di vite individuali. Ho provato ad attraversarla tutta, dal mare alla collina, da Place des martyres alla Cittadella, senza mai dimenticare il loro sguardo, mostrando analogie e trasformazioni, frammenti di grande vitalità urbana e luoghi di incommensurabile decadenza e degrado. Film di linguaggi e di piani temporali diversi, che mescola brani cinematografici di repertorio da Pepè le Mokò di Julien Duvivier e da La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, fotografie e quadri che illustrano la Kasbah nei tempi lontani a riprese dal vivo, il passato al presente, esso è come un mosaico nel quale il respiro della grande metropoli araba del Mediterraneo, protagonista assoluta, si fonde con la seduzione del cinema. La realtà con il mito.
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L’ORA DEI MIGRANTI. RESISTENZA QUOTIDIANA A MILANO. UN REPORTAGE DI LOTTA
Milano. Via Imbonati. Novembre 2010
Cinque migranti di diverse nazionalità, in segno di protesta e di solidarietà con i compagni di Brescia, isolati da giorni su una gru, salgono sulla ciminiera dell’ex stabilimento Carlo Erba, come estremo atto di resistenza umana contro la legge Bossi-Fini, la negazione del permesso di soggiorno e la criminalizzazione de1 clandestino. Ma non solo. I cinque vogliono porre all’attenzione dell’opinione pubblica le condizioni spesso umilianti in cui sono costretti a vivere gli stranieri in Italia. Difendere con gli strumenti della disobbedienza civile e con l’unione di tutti gli immigrati sfruttati e discriminati da leggi ingiuste e dal clima diffuso di’intolleranza quotidiana. Gridare, insomma, la propria voglia di cambiamento. Reportage di lotta, abbiamo voluto definire questo film, in segno di solidarietà verso tutti i migranti che intendono lottare, in questo paese, per la difesa dei propri diritti Esso descrive i momenti di protesta e di solidarietà verso i resistenti, raccogliendo attraverso diverse testimonianze dirette, tra le quali, eccezionalmente, la voce registrata di Marcelo, portavoce dei cinque migranti, le ragioni che non solo spingono cinque stranieri ad occupare una ciminiera a trenta metri d’altezza, ma anche molti cittadini milanesi e di altre città italiane, militanti e non, a sostenere attivamente la loro giusta causa. I fatti di Brescia e di Milano di questo malinconico e triste fine decennio, non devono restare isolati ma, al contrario, produrre un cortocircuito necessario e vitale che si diffonda in tutto il paese, trasformandosi presto in lotta politica, la cui natura, in epoca di globalizzazione, non potrà, ancora una volta, che essere di classe.
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QUADRILOGIA PALESTINESE. L’UNIVERSO PAZIENTE
Con più di oltre 30 ore di girato, oltre 1700 fotografie di scena, 27 persone intervistate e 17 location, questo nuovo lavoro di Maurizio Fantoni Minnella, documentarista indipendente, si propone come opera di sintesi, non solo dei suoi precedenti viaggi in Israele-Palestina, ma anche del proprio impegno culturale e politico, concretizzato nella presenza alla Gaza Freedom March del 2009 e soprattutto nella realizzazione del documentario lungometraggio Caos totale la marcia perduta di Gaza, 2010 e si compone di una Quadrilogia palestinese che a sua volta comprende quattro dvd: il primo contiene il lungometraggio Il lato d’ombra, storie di palestinesi d’Israele; il secondo, il mediometraggio Tonight on Jenin; il terzo, il mediometraggio Gaza a cielo aperto; il quarto, A est di Gerusalemme. Negli extra i seguenti cortometraggi: Scuola di gomma; Muro contro muro; Hebron; No future for Qalqilia; Stormy weather in Jaffa. Ciascuno dei tre dvd presenta come contenuti extra, scene tagliate, una galleria fotografica. oltre ad una lunga intervista, in due parti, all’attore e regista palestinese d’Israele Mohammed Bakri. Infine, un’intervista a all’attivista per i diritti umani a Gaza City Vittorio Arrigoni e all’Autore. Il risultato è un mosaico sfaccettato della condizione umana del popolo palestinese attraverso i luoghi della West Bank e di Israele e attraverso le testimonianze dei protagonisti a cui abbiamo voluto dare il nome di Universo paziente, poiché, nonostante tutto, la pazienza è sempre stata la maggiore virtù di questo popolo.
QUADRILOGIA PALESTINESE-GAZA A CIELO APERTO
A Gaza City il problema dello smaltimento della spazzatura appare nella sua drammatica evidenza camminando semplicemente per le strade cittadine, visitando le discariche temporanee e quelle principali che ormai straripano.
Sovrappopolamento e isolamento della Striscia dal mondo esterno ne sono le cause schiaccianti. Grazie ad un progetto di una Ong italiana, Coopi, esiste un sistema dinamico di raccolta quotidiana dei rifiuti che impiega a livello temporaneo un elevato numero di disoccupati gazawi. Un altro progetto si occupa invece del riciclaggio dei rifiuti, in particolare della plastica, dal cui successivo trattamento nascono gli oggetti d’uso più svariati.
Il film racconta la vita quotidiana dei netturbini coi carretti, che dalle quattro del mattino cominciano la raccolta e il trasporto dei rifiuti nelle discariche di Gaza City fino al tardo pomeriggio, mostrando anche la città che vive, la sua gente (bambini, studenti, pescatori etc.) .
QUADRILOGIA PALESTINESE- TONIGHT ON JENIN
Dopo trent’anni d’oblio e di degrado, il cinema di Jenin, in Cisgiordania, rinasce sotto la guida di un cineasta di documentari, il tedesco Marcus Vetter, già autore di Earth of Jenin, 2008 sulla vita del padre di un bambino di Jenin, ucciso per caso da un soldato israeliano. Grazie al lavoro di un affiatato gruppo di volontari palestinesi e tedeschi, il cinema, posto al centro della città, che molti ricordano per le giornate di resistenza contro l’esercito israeliano che la invase nel 2002, meglio note come la “battaglia di Jenin”, e per il grande campo profughi, ha acquistato una nuova vita, proponendosi di diventare un sicuro punto di riferimento culturale per l’intera città che mostra ancora oggi, i segni di un trauma incancellabile. Il film traccia il bilancio del nuovo cinema come simbolo di rinascita culturale attraverso lo sguardo sulla città stessa e sui suoi abitanti. Il film è altresì, in una più ampia accezione, grazie anche alla presenza di Mohamed Bakri, un omaggio al cinema palestinese contemporaneo.
QUADRILOGIA PALESTINESE- A EST DI GERUSALEMME
Gerusalemme Est, per ogni palestinese, è la capitale, la sola possibile, della Palestina. A Sheik Jarrah o a Silwan, si lotta per difendere il diritto alla casa, mentre Israele costruisce nuovi insediamenti su un territorio che i palestinesi sentono come la propria terra. Palestinesi e israeliani manifestano pacificamente, uniti sotto un’unica bandiera, quella della giustizia. Cresce tuttavia il clima di conflittualità quotidiana tra coloro che rivendicano il diritto di vivere in pace ed ebrei ortodossi, sempre più decisi ad occupare legalmente o illegalmente i territori arabi ad Est di Gerusalemme. Diviso in tre capitoli e un prologo, il film mescola il racconto di lotta con la descrizione della realtà quotidiana che si svolge intorno alla Porta di Damasco, simbolo vivente della Gerusalemme araba, il realismo della testimonianza con la poesia della realtà.
QUADRILOGIA PALESTINESE- IL LATO OMBRA. STORIE DI PALESTINESI DI ISRAELE
Il film è una sorta di viaggio tra i palestinesi d’Israele, ossia tra coloro che dal 1948 in avanti, hanno scelto di restare nella propria terra d’origine, diventata Israele. Da Jaffa, antichissimo porto del Mediterraneo, abitato dagli arabi, e Gerusalemme Est, attraverso le città di Ramla e di Lod, fino a Nazareth, Cana e ai villaggi palestinesi sulla costa, il film raccoglie numerose testimonianze di palestinesi che vivono la profonda lacerazione della doppia identità, mostrando i luoghi nei quali l’identità arabo palestinese è ancora viva (Jaffa) o in altri in cui essa è ridotta a un cumulo di rovine accanto a cui sono cresciuti ghetti popolari per la minoranza araba.
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MURO CONTRO MURO
Il Muro del Pianto e il muro di sicurezza e della vergogna che separa gli israeliani dai palestinesi; due entità contrapposte: il sacro e il politico. In questo cortometraggio, l’autore , con evidente spirito trasgressivo, si diverte a porli uno contro l’altro. Da una parte la folla di ebrei in preghiera, dall’altra, tracce di libertà, di rabbia e di speranza sul muro di cemento armato.
STORMY WEATHER IN JAFFA
Cielo tempestoso a Jaffa d’inverno. L’acqua del mare ha da poco oltrepassato gli argini e invaso la banchina. Sullo sfondo i grattacieli di Tel Aviv. Un bulldozer rimuove i sassi e il fango, mentre due lavoratori un po’ svogliati guardano l’orizzonte incerto sognando, forse, di essere altrove.
DESERTS
Girato a Mitzpe Ramon, nel deserto del Negev, descrive il silenzio e il vuoto del cratere più lungo del mondo e del villaggio di coloni israeliani sorto accanto a difesa del territorio.
HEBRON
Cronaca di conflittualità quotidiana nella città più estrema della Cisgiordania, dove la presenza di un’ampia colonia di ebrei ortodossi e di un check point che li divide dai palestinesi, crea un perenne stato di tensione. Nel tessuto urbano della medina una rete metallica, divenuta tristemente famosa, raccoglie tutta la spazzatura che gli ebrei ortodossi che vivono ai piani superiori, gettano sopra in segno di disprezzo verso gli arabi che vivono e lavorano ai piani bassi.
SCUOLA DI GOMMA
Ai margini di un villaggio beduino, al confine tra Israele e Cisgiordania, sorge la cosiddetta Scuola di gomma (costruita con gomme d’automobile coperte di sola malta), creata apposta per i figli dei beduini che altrimenti resterebbero drammaticamente senza istruzione. Costituita dall’ufficio della direttrice, un ampio cortile, un portico, due aule e un giardino polveroso, esso rappresenta una speranza e un modello per questo popolo che vive ai margini dei centri urbani cui vengono abitualmente negati i diritti più elementari.
DISSONANZE
Contrappunto dialettico poetico fra una chiesa moderna e un cementificio.
NO FUTURE FOR QALQILIA
Nella piccola città di Qalqilia in Cisgiordania, chiusa su tre lati dal muro di sicurezza voluto da Ariel Sharon, l’anziano proprietario di una fumeria informa che non c’è futuro per Qalqilia, prigioniera d’Israele e del muro.
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BENVENUTI NEL GHETTO
Il film è un affresco di vita quotidiana nel quartiere del ghetto di Genova, ossia nel cuore medioevale del suo centro storico, dove vive e opere la più significativa e numerosa comunità di trans italiana. Cinque storie di residenti nel quartieri, italiani e stranieri, che raccontano il disagio sociale e la lotta per la sopravvivenza, la difesa della propria diversità e dei diritti di tutti. Tra essi troviamo anche Andrea Gallo, il prete di frontiera amico degli umili, dei più deboli ma anche dei trans che come la Princesa di Fabrizio De Andrè,
Ma il film è anche un ritratto notturno e diurno della Genova portuale e dell’angiporto, dei vicoli silenziosi, dei palazzi austeri, del popolo di migranti che vi risiedono. Al centro di questo microcosmo piantato nel macrocosmo che è la città Vecchia di Genova, sta un piccolo osservatorio sociale, luogo di solidarietà e di sviluppo, dove incontriamo Megu, un giovane che ha scelto di dedicare il suo tempo lavorativo ai problemi che affliggono questa piccola comunità di lingue, nazioni e destini diversi.
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VISIONI DI BAILOR
Visioni di Bailor è il racconto in prima persona di Bailor Ba, giovane africano della Sierra Leone, giunge in Italia più di dieci anni fa, chiedendo asilo politico. Il suo paese è in guerra e lui fugge in cerca di un futuro migliore, di pace. Bailor infatti, crede nella pace universale. Seguace della filosofia Rastafari incarnata nel mito di Hailé Selassié e Bob Marley, Bailor si convince di essere un profeta (i rasta, dice, sono i veri profeti del mondo contemporaneo), incarnazione del grande cantante giamaicano, un eletto da Dio che lo ha costantemente messo alla prova facendogli affrontare difficoltà, pericoli e umiliazioni come la perdita del lavoro e della casa, il ferimento al braccio e al femore, il razzismo quotidiano riservato agli immigrati e il ricovero in un presidio ospedaliaro dove gli viene diagnosticata una patologia mistica ossessiva. Ora egli sa che fare il bene non corrisponde necessariamente a riceverlo dagli altri, che la pace tra gli uomini è soltanto un fantasma.
Da tre anni posto sotto osservazione in una comunità psichiatrica pubblica, Bailor continua a vivere conservando dentro di sé la speranza di un futuro migliore, raccontando le visioni profetiche dei suoi sogni, vagando per la città che conosce bene, dove è solo pur conoscendo tanta gente straniera come lui con l’immancabile tamburo al collo.
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MORTE PER ACQUA. IMMIGRANT SONG HOTEL
A Marzio, un piccolo comune montano della provincia di Varese, al confine con il Canton Ticino, si attende il corpo di un giovane nigeriano, annegato due settimane prima nel lago di Lugano. Egli è uno dei tanti profughi giunti in Italia insieme ai suoi compagni dalla Libia in guerra. Sono temporaneamente ospitati in uno storico albergo a gestione familiare. L’incontro con persone provenienti da luoghi e da culture diverse, mette scompiglio nel villaggio e nell’albergo. Col trascorrere del tempo la famiglia formata da padre, madre e tre figlie, impara a dialogare con i rifugiati (quasi tutti africani), comprendere il loro dramma umano e le loro abitudini. La morte dell’amico ha gettato un velo di malinconia tra di loro. Quindi l’attesa del corpo che dovrà essere tumulato nel piccolo cimitero diventa febbrile. Tutto il villaggio partecipa al funerale. Finalmente il giovane, avrà una degna sepoltura accanto agli abitanti del villaggio.
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CASE CHE RESISTONO
Molto tempo fa nella grande corte tripartita di Castellazzo di Bollate vivevano almeno seicento persone, perlopiù contadini, suddivisi in piccole e grandi famiglie. Oggi le famiglie sono diventate poco più di quindici, ma le case sono ancora intatte, resistono, insieme ai loro abitanti, ai colpi inferti dalla speculazione immobiliare, colpi che sino ad ora non sono andati a segno. Non è forse casuale che la Corte nel 1945 si trasformò per alcuni mesi, in set cinematografico di un film sulla Resistenza. Il film si intitolava Il sole sorge ancora di Mario Vergano. Quella che vivono oggi, persone e case, è invece un’altra resistenza, in attesa, forse vana, che un altro sole sorga ancora…!
Case che resistono è un film poetico che racconta l’intima relazione tra gli esseri umani e l’ambiente e il paesaggio della propria quotidianità. Il mondo che vediamo sembra apparentemente senza tempo, fuori dal mondo reale, eppure i suoi sparuti protagonisti sono parte integrante di una modernità che non risparmia nessuno, nel suo procedere rapido e inesorabile. Qui a Castellazzo, tra le mura che resistono, il tempo si è fermato per poi ripartire poiché il passato è nell’immobilità della pietra e del mattone che restano al loro posto con la magnifica complicità degli uomini.
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L’ANELLO DEL FIUME
Breve viaggio lungo il fiume Olona, al centro di vasta area di sviluppo industriale fin dal XIX secolo, e quindi, un tempo, il più inquinato d’Italia, e la ferrovia oggi in abbandono, che correva parallela, dove le trasformazioni e le ingiurie dell’uomo hanno inesorabilmente modificato il paesaggio originario. Attraverso la testimonianza diretta e i ricordi personali di due abitanti del fiume, un falegname che vive in un mulino senza più acqua né vita e uno storico del paesaggio che del mulino conserva ricordi d’infanzia, apprendiamo, ad esempio, che di quest’ultimo, con le sue case nel fondovalle, assiepate le une alle altre come in un unico borgo, viene cancellata la propria funzione storica mediante la costruzione di un grande anello di cemento armato, una specie di ciambella che corre tutt’intorno al borgo separandolo, per così dire, dal resto del territorio e soprattutto dall’elemento naturale per cui esso era da sempre esistito, ossia l’acqua.
Una storia questa, in cui l’idea dello heimat (ossia dell’appartenenza ad un preciso territorio), si unisce al grido d’allarme a difesa di un patrimonio naturale, frutto di numerose e secolari stratificazioni, che continua, ancora oggi ad essere vittima della stupidità e dell’aggressività umane.
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I LIBRI SALVATI
A Marmora, un villaggio occitano dell’Alta Val Maira, padre Sergio, monaco benedettino ottuagenario, ha raccolto e conservato nelle cantine della canonica, una biblioteca di 58.000 volumi. In un’epoca in cui si discute sul destino del libro fatto di carta colla e legatura, mentre cresce sempre più l’offerta del libro digitale, l’e-book che si legge su di uno schermo portatile, quello di padre Sergio potrebbe forse apparire agli occhi degli altri, come uno sforzo eroico o un gesto inutile e quindi anacronistico. Tuttavia sappiamo che, altri, nel mondo, hanno fatto la stessa cosa, mentre in Fahrenheit 451 di Francoise Truffaut, che fu libro ancor prima di essere film, si giungeva perfino a imparare i libri a memoria quasi si trattasse di creature cui garantire la continuità della vita. Per padre Sergio quei libri sono stati e continuano ad essere la sua stessa vita.
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RIBELLI DELLA TORRE FARO BINARIO 21
Milano: Stazione Centrale. inverno 2011. Sul binario 24 si consuma da sei mesi la vicenda degli 800 ferrovieri licenziati dei treni letto che tanta parte hanno avuto nello sviluppo del nostro paese. Con essi, ogni giorno, migliaia di uomini e donne, si spostavano dalle regioni più lontane del sud Italia verso il nord, verso Milano, Torino, Genova in cerca di fortuna o semplicemente per trovare un lavoro vero e una vita nuova. La loro cancellazione, voluta da Trenitalia per ragioni economiche di mercato interno, ha privato 800 famiglie non soltanto del lavoro ma anche di un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione, facendole precipitare nell’incertezza e nel caos. I treni notte sono un bene comune prezioso come l’acqua; con questo slogan alcuni di loro, a turno, occupano un traliccio alto trenta metri e da quel momento in avanti, comincia la loro storia, dei Ribelli della Torre Faro Binario 21.
Il film racconta i diversi momenti della loro resistenza, il coraggio e l’ostinazione con cui essi hanno deciso di non andarsene, di non lasciare il binario 24 e la torre, divenuti entrambi dei simboli, strumenti necessari a chi non vuole piegarsi, né abbandonare il proprio lavoro nelle ferrovie. Con uno stile che rifiuta la semplificazione giornalistica, il regista coglie invece, insieme alle testimonianze, gli stati d’animo degli uomini, nei momenti morti della loro attesa, in uno spazio neutro, incuneato fra la città e i treni il cui andirivieni ossessivo diventa una presenza costante nel film.
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EDEN PERDUTO
In tempi come questi, la chiusura di un cinema non fa più notizia, tuttavia con qualche eccezione: il cinema Eden di Genova Pegli, una delegazione genovese di Ponente. Diffusa la notizia di un sua probabile chiusura, dietro cui si celano evidenti propositi e appetiti speculativi, da parte della stessa proprietà, ovvero l’ordine dei monaci benedettini, gli abitanti del quartiere hanno scelto la mobilitazione pacifica ma determinata attraverso cui mostrare a tutti il proprio dissenso di fronte a quello che viene ormai considerato un duplice scempio, verso la cultura e le persone, e verso l’ambiente. Nel mostrare la rabbia e la delusione dei cittadini, il film intende ripercorrere la storia del cinema Eden di Pegli, attraverso le voci del suo animatore culturale Rocco Frontera, e del cinephile genovese Giancarlo Giraud, per i quali il cinema è parte importante del proprio quotidiano. Il film è altresì il ritratto collettivo di un quartiere che si sente tradito e rivuole il suo spazio, come lo stesso Rocco che, seduto davanti al muro di cemento che chiude, forse per sempre, il cinema alla città, con amara ironia, si augura che presto, esso venga abbattuto come il muro di Berlino.
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DIETRO LE MURA DI DIYARBAKIR
Diyarbakir, l’antica Amidia, città nera come veniva chiamata per il colore nero del basalto di cui sono fatte le sue mura, è considerata la capitale del Kurdistan turco, una metropoli di oltre un milione di persone. Dietro le possenti mura, seconde per lunghezza solo alla Grande Muraglia, ecco una nuova ma in verità antichissima geografia della povertà e della speranza, dei mestieri e della preghiera, dell’infanzia e della desolazione, ma anche della bellezza. La vita scorre tra i resti di antichissimo passato che rimanda alle origini del mondo e le rovine di case bruciate, distrutte, appartenenti al popolo di Diyarbakir, colpevole di essere kurdo e parte integrante della lotta per l’indipendenza del Kurdistan.
In estate, durante il Ramadan, la vita delle persone viene come sconvolta dal calore del sole, dalla stanchezza e dalla sete. Una sete atavica, difficilmente placabile durante il giorno, un tempo lungo, lunghissimo che trascorre attraverso le voci e i giochi dei bambini, i silenzi delle moschee dove la gente si reca per pregare ma anche per dormire, i rumori e i gesti metodici e precisi degli artigiani delle corporazioni, bambini e uomini insieme, uniti nell’insostituibile fatica quotidiana. Non siamo lontani dallo stupore che il poeta e regista Pier Paolo Pasolini provò di fronte ai popoli di Palestina e dello Yemen, che ancora recano i segni di un’antica grazia e bellezza.
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DAVANTI A PINELLI. REQUIEM PER GLI ANNI SETTANTA
Il pittore Enrico Baj, nel 1972 dipingeva sul modello di Guernica di Pablo Picasso, il suo I funerali dell’anarchico Pinelli, accorato omaggio al ferroviere caduto in circostanze che si vorrebbero ancora misteriose, da una finestra della questura di Milano. Per la prima volta dopo esattamente quarant’anni, la grande tela di Baj viene esposta pubblicamente a Milano, la città di Pinelli, nella “Sala delle Cariatidi” di Palazzo Reale all’interno di una mostra dal titolo tristemente emblematico: “Addio anni settanta”..
Davanti a Pinelli Un Requiem per gli anni settanta fa rivivere la tela e lo spirito degli anni settanta attraverso lo sguardo dei visitatori che affollano il salone ammirandone la primitiva e vitale bellezza, dietro la quale si cela non solo la morte di un innocente, Giuseppe Pinelli, per gli amici Pino, ma colpevole per il fatto di essere anarchico, ma altresì tutto il dramma degli anni settanta col suo carico di rabbia e utopia, violenza e ingiustizia. Il film esplora lo spazio in cui è esposta la tela rivelando l’enorme distanza temporale che ci separa da un’epoca che oggi viene ingiustamente demonizzata in un presente effimero e totalizzante, fedeli al principio di un’altrettanto effimera felicità globale.
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LIBERTA’ DI HEVI. UNA VITA PER IL KURDISTAN
Nella lingua curda hevi significa speranza e non è quindi casuale che la protagonista di questo film si chiami Hevi e che abbia dedicato la propria vita alla libertà della sua gente, del popolo del Kurdistan. Tuttavia per fare questo essa ha dovuto conquistare la propria libertà, ma ad un prezzo molto alto che ha significato la totale separazione dalla famiglia e dalla terra d’origine. La sua è una storia esemplare che abbiamo scelto di raccontare non solamente per il suo carattere avventuroso e tragico ma per la carica simbolica che trasmette attraverso il coraggio e la forza interiore della protagonista. Nell’alternare i luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza di Hevi, la biblica città di Abramo, Urfa, con la nuova esistenza di Hevi a Roma, tesa in ogni sua piega a servire la causa del popolo curdo che come lei si trova lontano dalla propria terra, il film ha un ritmo rapsodico che lega in una naturale continuità attraverso la vita della protagonista il Kurdistan e l’Italia, i villaggi distrutti dai soldati turchi agli spazi vuoti dell’ex macello al Testaccio o al Teatro Valle occupato dove, quasi a conclusione del racconto di una donna, sospeso fra tragedia e speranza, si sta celebrando il Newroz, ossia il capodanno curdo, con il grande falò notturno su cui aleggiano le parole di pace del presidente Ocalan.
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IL CUORE DI MIA MADRE. TACCUINO SICILIANO
C’è una Sicilia dell’antimafia e dei morti ammazzati e una Sicilia della memoria come luogo dove ritornare. Ci sono le strade di Palermo, la sua luce che non si può descrivere ma soltanto guardare, ma anche le ampie e solitarie distese della Sicilia profonda, terra verso cui l’autore di questo film si volge nel tentativo di ritrovare la propria radice materna. Ad accompagnarlo c’è un amico siciliano, volontario di Libera, che vive in una sorta di avamposto solitario immerso nella campagna, fra ulivi, vigneti e cardi, creato dall’associazione in una terra sequestrata alla mafia. Le riflessione del collaboratore di Libera sul suo lavoro di volontariato presso l’associazione sono uno stimolo per l’autore per approfondire un nuovo aspetto della realtà siciliana. Egli guida un vecchio pulmino Wolkswagen e con l’autore, giunge nella città di Mussomeli, famosa per il magnifico castello chiaramonteo e per bellezza del paesaggio in cui è possibile ammirare la rocca di Sutera. I ricordi affiorano di fronte alla vecchia casa degli avi in via Minnella e nella strada vicina dedicata a Paolo Emiliani Giudici, illustre letterato.
Il film, modellato sull’evolversi del viaggio attraverso la Sicilia interna, passando attraverso Palermo, i luoghi delle esplosioni mafiose degli anni novanta, le attività di un’associazione come Addiopizzo, e Cinisi, in quella che fu la casa di Peppino Impastato, possiede un andamento quasi rapsodico, essenziale nel mostrare personaggi e luoghi, appunto, ma anche memorie cinematografiche (Wenders, Rosi, Giordana) che bene esprimono l’anima della Sicilia, sorprendentemente vitale nonostante le ingiustizie e gli orrori subiti per mano della mafia e della malapolitica. L’autore nel percorrere gli stessi luoghi dei film, è come se ne rivelasse la natura mitica, luoghi che la storia e il cinema, la vita e la morte, sempre intrecciate in un abbraccio solenne e fatale, hanno consegnato ad una sorta di mitologia quotidiana. Nell’epilogo, ritorna la figura materna e il suo paese natale, come presenza nella quale passato e presente convivono in un segreto equilibrio.
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PAROLE SPALANCATE. LA CITTA’ DEI POETI
Grazie alla passione e alla competenza di Nunu Geladze, che da alcuni anni si è posta come imperativo quello di tradurre in Italia la letteratura del suo paese, la Georgia, è stato, dunque, possibile avventurarci in questo breve viaggio cinematografico che ci ha permesso di conoscere i luoghi, i poeti e le loro vite, le città e i villaggi tra le montagne, perché la poesia georgiana è prima di tutto un sentimento profondo delle cose, della vita reale e di quella immaginaria, e quindi è ovunque in questa piccola e splendida terra caucasica. Con un andamento rapsodico, il film mostra per la prima volta luoghi che sono del tutto sconosciuti al pubblico italiano, alternando letture poetiche con autori, uomini e donne di differenti generazioni, a incontri più ravvicinati con i poeti, colti nel proprio ambiente familiare, come nel caso di Lia Sturua, Lela Samniashvili, Maniam Tsiklauri, Dato Magradze e Besik Kharanauli, questi ultimi già canditati al premio Nobel, o infine, scoprendo luoghi fortemente emblematici per la cultura georgiana come il Pantheon degli Artisti in cima alla collina che domina la città e la Casa degli Scrittori, nel cuore ottocentesco di Tbilisi.
Infine, come nell’opera precedente, è la poesia la vera protagonista insieme ai suoi creatori e non la riflessione sulla poesia, essendo questo un film di pedinamento del reale e non un film-saggio, nell’accezione, pur altrettanto credibile, propostaci da un autore come Jean Luc Godard
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PROPRIETA’ PIRATA
Dedicato alla memoria di Luciano Giaccari (1934-2015), pioniere della videoarte, il film è una meditazione sull’inesorabile passare del tempo e sul riutilizzo degli spazi abbandonati per mezzo della street art: pratica in cui il concetto di proprietà è rimesso violentemente in discussione.
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NOI, I NERI
Il film mostra l’immigrazione da un’angolazione singolare, ossia non attraverso le immagini degli sbarchi, dei luoghi di detenzione temporanea, tanto care all’immaginario giornalistico televisivo, ma cogliendo le vite dei migranti in una zona grigia, una sorta di limbo sospeso tra la tragedia dell’arrivo e l’illusione e la speranza di una vita nuova.
Filo conduttore del film sono le storie di Lamine, senegalese del Casamance, fuggito dal suo paese per ragioni politiche, novello scrittore, poeta e attualmente disoccupato, e di Valentine, giovane cantante e musicista congolese che vive con la madre anziana e sogna di diventare un grande artista africano, che si alternano alle vite di giovani profughi africani fuggiti dalla guerra, riuniti in alcuni appartamenti, in attesa di una nuova vita. Di essi vengono colti i tempi morti durante le sere: cellulari, televisione, brevi conversazioni, andirivieni per strada e molta solitudine. Ma anche la volontà, spesso illusoria, di conoscere una nuova lingua in un paese nuovo. Oppure di mettere in scena uno spettacolo di ballo e di canto in cui rappresentare in senso catartico la propria storia fatta di tragedia e di speranza. L’azione successivamente si sposta nell’isola di Goree in Senegal, simbolo dello schiavismo storico, memoria dell’olocausto africano e oggi luogo di pace, e nella città di St.Louis, da cui ancora oggi, partono navi cariche di Africani verso l’Europa, in una nuova, più ambigua e sofisticata forma di schiavismo. E’ un viaggio all’origine del disagio e dell’idea di emigrazione, di fuga che ha come contrappunto l’attività di alcune ong che, ad esempio, offrono l’opportunità alle donne africane di lavori in diversi ambiti. Perché fuggire rischiando la propria vita se è possibile costruirsene una nuova nella propria terra?!.
Sono, infine, ben riconoscibili tre diversi livelli di percezione della realtà occidentale attraverso i diversi protagonisti: i ragazzi e le ragazze africane appena giunte in Italia, Valentino e Lamine, che dopo pochi anni trascorsi in Italia, nutrono ancora delle speranze di una vita normale.
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FORMICHE ROSSE
Dopo la caduta del Muro di Berlino e con la fine dell’Unione Sovietica, l’idea comunista nel mondo viene subendo un considerevole ridimensionamento. Globalizzazione economica e neo liberismo la fanno da padroni dell’intero globo. In Italia, ad esempio, la deriva socialdemocratica di una sinistra che un tempo si definiva comunista, ha tuttavia lasciato emergere dalle secche di una storia secolare che sembra essere giunta alla conclusione, forme di resistenza, talora nostalgica di un sistema politico, il marxismo-leninismo, che garantiva, nella visione ideale di quanti ne sono rimasti fedeli, giustizia e uguaglianza sociale. Da tali premesse prende le mosse un film che, partendo dalla morte di un prete autenticamente comunista, il genovese don Andrea Gallo, racconta con sguardo disincantato le vite di alcuni comunisti, orgogliosi di esserlo, ma in una prospettiva umana ed esistenziale che ne rivela ingenuità e debolezze, rabbia e lucidità analitica e in fondo, il sogno di sempre, ossia quello di una società egualitaria e quindi più giusta. Antifascismo e leninismo, praticati ancora oggi da questi compagni “inossidabili” come formiche rosse, ridiventano un dovere etico e un imperativo categorico, parafrasando l’aforisma cartesiano: sono comunista dunque esisto.
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ESILIO LA PASSIONE SECONDO LUCANO
Il film che proponiamo ha origine non tanto dal progetto di Mimmo Lucano quanto sul momento di rottura con la giustizia italiana che lo accusa e lo condanna a lasciare non solo il proprio lavoro di sindaco ma la propria abitazione, il paese dove è nato, Riace, nella Calabria profonda, dove in vent’anni ha contribuito a creare, attraverso l’Associazione Città Futura, un’esperienza di accoglienza e di solidarietà che non ha eguali in tutta Europa.
Il nucleo principale di cui si compone il film è l’elaborazione psicologica da parte di Mimmo Lucano della privazione dei propri diritti, con la conseguente trasformazione delle proprie abitudini. Mimmo Lucano, quindi, protagonista di un periplo doloroso e assurdo ai margini della propria città e del proprio lavoro svolto per gli altri, ma anche Riace, vuota, sospesa fra il silenzio di coloro che non ci sono più e le voci di quelli che sono rimasti a difendere un progetto sostenibile di umanità multietnica e multiculturale. Tra queste voci vi sono i migranti e altre persone straordinarie che con lui hanno condiviso progetto e speranze. Assieme a loro un maestro, padre di Mimmo Lucano, che racconta come ha vissuto l’allontanamento del figlio e la sua criminalizzazione. A poco a poco il borgo calabrese, ormai famoso in tutto il mondo, ridiventa protagonista ma senza il suo sindaco che pur essendo lì, non rinuncia alla sua battaglia dell’utopia concreta.
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Il film documentario, partendo idealmente dalla nascita della Biblioteca di Viaggio di FreeZone, racconta il viaggio attraverso la Mauritania per cercare le antiche biblioteche che si trovano in pericolo di distruzione.
La metà del viaggio di ricerca è Chinguetti (oltre a Oulata, Ouadane e Tichitt), nel cuore della Mauritania, antica città carovaniera, Patrimonio Mondiale dell’Unesco, che a causa della desertificazione incombente, rischia di perdere il suo immenso patrimonio librario. Il sindaco di Chinguetti, una giornalista e il responsabile di una delle biblioteche più importanti della città faranno da guida durante questo viaggio ideale di ricerca e di conoscenza. Abbiamo individuato inoltre altri personaggi tra gli studenti della scuola di restauro e tra gli intellettuali del posto. Il film seguirà le loro vite quotidiane nelle città che una volta erano vicine alle oasi e ora, per colpa della desertificazione, sono ai margini del deserto.
Il film è stato realizzato anche grazie al contributo di Biblioteca Nazionale di Budapest e di I Viaggi di Maurizio Levi
Il film beneficia del patrocinio della Biblioteca Nazionale di Budapest, l’ong Terre Solidali, il Ministero Affari Esteri Cooperazione allo Sviluppo, la Prefettura dell’Adrar, la Città di Chinguetti, la Città di Ouadane.
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FANTASMI CILENI FRAMMENTI DI UN GOLPE LONTANO
Al “Museo de la memoria y derechos humanos” di Santiago de Chile, ciò che si vede si situa su due differenti livelli percettivi: il passato e il presente, ossia le immagini, i fotogrammi del golpe cileno di Pinochet che giungono da una moltitudine di monitor come fantasmi di un tempo lontano eppure così presente nella memoria collettiva da una parte e le persone, gli spettatori contemporanei, dall’altra. Il film si concentra fenomenologicamente sul rapporto di vicinanza tra lo sguardo che cerca di entrare in sintonia con i fatti di quel tragico 11 settembre del 1973, e una storia che, al pari di un masso erratico, resta in bilico, è sospesa sul crinale, nel tentativo di cogliere gli stati d’animo attraverso i volti, i gesti e le parole dei visitatori del museo, in gran parte studenti e studentesse cileni, che attraverso la verità delle immagini proiettate tutt’intorno, sognano di trovare la verità dentro se stessi. Lo spazio museale diventa così luogo della memoria e della costruzione della memoria, di un passato ideologico che s’insinua in un presente che non lo è più spingendo ad un confronto serrato con la propria storia che è comunque storia di tutti in ogni latitudine: libertà versus dittatura. Lo spazio si riempie di gesti e di suoni, di immagini e di rumori ma niente è più netto e meno confuso di questo scandaglio di una tragedia popolare, che, come un multiforme caos organizzato, arriva dritto al cuore.
La morte prematura di Luis Sepulveda ci spinge, con imperativo etico e politico, a ricordare la tragedia cilena dell’11 settembre 1973, rendendo omaggio allo scrittore cileno.